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Se l'intelligenza artificiale abbraccia la Pmi
L’AI può far compiere un salto quantico anche ad aziende che abbiano finora lavorato poco con la digitalizzazione. Parola di Roberto Crapelli, managing partner di Quadrivio Group e di Industry 4.0 Fund
AL PASSIVO, UNA NOTEVOLE ARRETRATEZZA MA, ALL’ATTIVO, ENORMI OPPORTUNITÀ DA COGLIERE: È QUESTO AD OGGI IL BILANCIO DELL’IMPATTO CHE L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE AVRÀ (ANZI STA GIÀ INIZIANDO AD AVERE) NEL MONDO DELLE PICCOLE, MEDIE E ANCHE MEDIO-GRANDI IMPRESE ITALIANE. Parola di Roberto Crapelli, una vita nella consulenza strategica ad alto e altissimo livello, oggi managing partner di Quadrivio Group e di Industry 4.0 Fund – uno dei quattro comparti di investimento seguiti appunto da Quadrivio – nonché promotore della scelta storica compiuta da Roland Berger (il guru tedesco della consulenza con cui ha lavorato per anni, da amministratore delegato della subsidiary italiana) di aderire alla sfida di Quadrivio come Senior Advisor dello stesso fondo Industry 4.0.
Sgombriamo innazitutto il campo dalle arretratezze che le nostre Pmi scontano al passivo. Di che si tratta?
In Italia, ma direi in genere in Europa, le Pmi sotto il miliardo di ricavi non hanno mai avuto sistemi informativi al centro dell’attenzione dei vertici, come fattore differenziante della competitività, né hanno adottato tecnologie innovative capaci di attrarre l’attenzione degli investitori, che fosse imprenditori, banche o fondi. La qualità e capacità dei sistemi informativi non è quasi mai stata indicata come una risorsa qualificante delle aziende su cui concentrare gli investimenti, per molti anni si sono privilegiati investimenti in impianti, macchinari e capannoni. Anche chi ha adottato Industry 4.0 non ha ancora realizzato la potente trasformazione industriale offerta dall’adozione di tecnologie guidate dalla digitalizzazione. Ma qui c’è anche l’opportunità.
Cioè?
Cioè l’Intelligenza Artificiale può far compiere un salto quantico anche ad aziende che abbiano finora lavorato poco con la digitalizzazione. Non che queste Pmi, con la loro granularità e con il loro vivere spesso in filiera, possano fare a meno di digitalizzarsi grazie all’AI, ma possono recuperare molto rapidamente il loro gap. Portando il contributo prezioso dell’AI direttamente nel cuore del sistema, introdotto o rinnovato ad hoc, e quindi di progredire in tempi molto più rapidi.
Quali fattori abilitanti vanno però comunque introdotti?
Mediamente le Pmi mancano di una risorsa essenziale che non è la scarsa sofisticazione del software ma l’infrastruttura; hanno ancora server interni, invece che essere organizzate in cloud. E poi, certo: da un approfondimento che abbiamo fatto come Quadrivio riesaminando le due diligenze di tutte aziende che abbiamo visto (dunque tante, considerando che per ogni investimento fatto abbiamo analizzato molte decine di aziende) risulta che l’attenzione per il sistema informativo aziendale non è sempre sufficiente - anzi! - a permettere all’azienda di consolidare o di uscire dagli ambiti di nicchia nei quali opera. Perché il management non riesce a sistematizzare l’intuizione, la creatività e lo spirito imprenditoriale, risorse insostituibili perfetti per partire ma nemiche del consolidamento. Ora l’AI fa da supporto a queste tre risorse dell’imprenditore del made in Italy, molto più velocemente di quanto sia accaduto con la prima informatizzazione.
Non pensa che l’AI potrebbe però ben presto sostituirsi all’imprenditore?
No, assolutamente. Lo aiuterà ma non potrà sostituirlo. E questo rimane un nostro grande vantaggio competitivo come investitori di private equity in molte Pmi italiane, europee e globali. In quest’asse ideale dove si concentrano oltre 20 mila Pmi organizzate in filiere, che va da Amburgo al Sud Italia, l’AI non sostituisce il sistema informativo aziendale ma lo supera, affiancando il lavoro imprenditoriale o del top management e aiutando la relazione uomo-macchina.
Qualsiasi macchina?
Certo, che sia un impianto produttivo robotico o un sistema per pulire i vetri, l’interfaccia uomo-macchina viene potentemente agevolata, e consolida la redditività industriale delle aziende. È sbagliato pensare che l’AI sia semplicemente un modo per ridurre i costi, ottimizza tutte le operation, togliendo dal cammino degli strategist e dei gestori d’impresa quella drammatica buccia di banana che dagli Anni Ottanta ai nostri tempi aveva spesso vanificato i piani strategici più belli e visionari, appunto la execution inadeguata.
E guardando a questo fenomeno con l’occhio del private equity, come lo valuta?
Molto molto bene! Poiché è il mercato dei capitali che induce la scelta delle strategie delle aziende, ed è molto lucido, sta già riuscendo a individuare le strategie valide quando ci sono o a ispirarle quando possono essere implementate. Il problema dell’execution è grandemente alleggerito dall’ausilio dell’AI, mentre quando a guidare era il solo management, il monitoraggio delle operation da parte dell’investitore doveva essere molto più minuzioso e pedissequo. Oggi, con l’AI che interverrà in tutte le fasi l’efficienza operativa del processo: il lancio di nuovi prodotti, i prezzi, il mercato, la distribuzione, gli acquisti… il vantaggio competitivo è evidente e permette di avere non solo costi minori ma meno volatilità della performance. Sai che c’è una macchina a presidiare quelle dinamiche e non si distrarrà, non ridurrà mai la sua attenzione, anzi imparerà e proporrà soluzioni al management.
Quindi l’AI è un grande alleato del capital market?
Assolutamente sì! Chi come me ha lavorato molto vicino ai vertici aziendali - nei tempi anteriori all’AI - e oggi lavora nel capital market, constata con sollievo come la non-volatilità dell’execution, grazie all’affiancamento del management da parte di un supporto eccezionale come l’AI aumenta l’efficacia nell’utilizzo del capitale e riduce i rischi. Certo, costringe le imprese a dotarsi di un management di qualità superiore ma la cosa è benefica. In termini finanziari, ridurre rischi di execution nelle aziende in cui si investe significa, per il capital market, cambiare asset class. E poter tentare più opzioni strategiche. Noi, in Quadrivio, stiamo lavorando su questa frontiera.
Un esempio?
Stiamo preparandoci per il lancio di un nuovo fondo che investirà in belle aziende normalmente informatizzate e che abbiano anche già adottato investimenti in Industry 4.0, ne accentuiamo la digitalizzazione inserendo l’AI, gradualmente affianchiamo il management con i nuovi sistemi si supporto all’execution e finalmente potremo concentrarci a fuoco le strategie per ottimizzare la resa del capitale.
In questo modo il private equity fa il mestiere dei consulenti strategici!
Una sintesi un po’ forte ma non sbagliata. Questo ruolo strategico a fianco alle aziende che si aprono al capital market fino a 4-5 anni fa era in mano alle grandi compagnie di consulenza strategica, ora sta migrando verso le banche d’affari, gli advisor finanziari ma anche i fondi di private equity o di debito, perché siamo noi che, volendo investire, abbiamo la necessità di definire le strategie nel modo più efficiente possibile.
I vostri investitori sono consapevoli di questa metamorfosi?
In genere, i fondi devono dire ai loro investitori che la logica con cui scegliamo un investimento non è più solo legata al business plan, ma fa affidamento anche sulla potenza dell’AI, che rende le aziende più stabili e più sicure nel perseguire i propri obiettivi. E c’è di più…
Cosa?
L’Ai facilita imprenditori e manager a presentare ai propri azionisti gli obiettivi per i quali chiedono capitali. Se si chiedono investimenti importanti, lo si può fare con maggior serenità perché il calcolo del rientro dall’investimento è meno aleatorio che in passato, meno fideistico e più razionale… Ecco il valore dell’AI per le imprese e per gli investitori!
Significa poter osare di più…
Sì, per esempio quando si fanno acquisizioni: la divisione merger and acquisitions di una grande azienda che abbia bene implementato l’AI diventerà una delle divisioni più importanti. Oggi un’AI capace di affiancare l’imprenditore che va in giro sul mercato a cercare opportunità di crescere per linee esterne è utilissima, permette di industrializzare la selezione delle aziende dove investiresenza nulla togliere all’intuitus personae e alle valutazioni discrezionali sul rischio e sul futuro, tipiche dell’uomo.
Ecco: quindi il ruolo dell’uomo nella scelta finale secondo lei resterà essenziale?
Sicuramente, almeno per molto tempo ancora. In fondo un sistema di AI è un sistema informativo che filtra dati e compie scelte applicando criteri preordinati. Non meriterebbe di essere chiamato “intelligente” proprio perché non può sostituire la creatività, il coraggio, la visione. Forse in futuro, con i computer quantici. Ma ad oggi sono pure ipotesi.
Le piace questa nuova sfida?
Moltissimo, la trovo eccitante. Oggi possiamo fare arbitraggi, non solamente scelte. Abbiamo più consapevolezza e quindi rischio di opinione, vuol dire definire un perimetro trasparente per i nostri investitori sulla nostra attività, la formula migliore per fondi tematici come i nostri di Quadrivio.