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Quadrivio Group
09.06.2023

“Investiamo sul know how necessario alla crescita”

Quadrivio Group ha lanciato un sistema di fondi di private equity forte, oggi, di 2,5 miliardi investiti in asset di pregio, che sta dando molte soddisfazioni ai sottoscrittori. Intervista al co-fondatore Alessandro Binello

“QUADRIVIO GROUP FORNISCE, ALLE IMPRESE IN CUI INVESTE, NON SOLO EQUITY, MA ANCHE KNOW HOW. CREDO CHE IN QUESTO CONSISTA IL NOSTRO SUCCESSO”: parola di Alessandro Binello, co-fondatore e Group Ceo di Quadrio Group, realtà di Private Equity con sedi a Milano, Londra, Lussemburgo, New York e Hong Kong. Il Gruppo attualmente promuove e gestisce 4 fondi tematici: Made in Italy Fund 1, Made in Italy Fund 2, Industry 4.0 Fund e Silver Economy Fund.. “Per il successo di un’impresa – prosegue – la finanza non basta ma, appunto, occorrono soprattutto competenze per crescere nella distribuzione, nel digitale, nella capacità di individuare e attrarre il giusto management. Se un’impresa non riusciva a crescere prima di ricevere il nostro investimento, non è che automaticamente basta aver risorse per riuscirsi. In particolare, il settore del made in Italy, che è il petrolio del nostro Paese, è complesso e va curato con grandissima attenzione e competenza”.

Non sarà un segreto, ma sicuramente vi ha permesso di conseguire ottimi risultati: i numeri lo dimostrano…

Credo che abbiamo centrato i temi. Alcuni temi strategici. Con Pambianco decidemmo di investire molto sul made in Italy, e devo dire che abbiamo attirato rapidamente i capitali necessari, 300 milioni, e ora stiamo lanciando nuovo fondo da 500 milioni di euro, di respiro internazionale Leggo che si parla di un fondo sovrano, si vedrà, intanto noi facciamo e bene, un mestiere che alla fin fine prima di noi nessuno faceva. Forse perché sono fondi che gestiscono valori in parte intangibile devono essere molto specializzati.

Cosa può dirci del nuovo fondo in arrivo?

Che seguirà un po’ le tracce del predecessore, ma sarà ancora più internazionale. Abbiamo trovato un nuovo partner a Parigi, copriremo ancor più Londra, tra l’altro con nuovi uffici, ma anche New York e Parigi. In Asia abbiamo un ufficio da sempre e diversi partner locali. Anche gli Emirati Arabi sono un mercato interessante, uno dei nostri principali target, dove i beni di lusso e di lusso “affordable”, dove noi lavoriamo di più, incontrano una fortissima domanda: è un mercato in grande crescita. E anche lì c’è sempre esigenza di partnership qualificate, come del resto in Cina.

L’altro settore di grande effervescenza, tra quelli su cui operate, è la silver economy, forse il tema più discusso all’ultimo Salone del risparmio.

Sono tanti anni che stiamo lavorando ad un grande programma di investimento per questo settore, riteniamo possa diventare molto grande. Non è stato facile scegliere le persone da coinvolgere, perché in Italia si tratta ancora di business di nicchia, in mano a pochi operatori. C’è molto da fare. Ci vuole uno spunto organizzativo di matrice anglosassone, non abbiamo ancora abbastanza strutture adeguate, né management esperto. Dotiamocene, e riusciremo a fare attività importanti.

Peraltro, è un tema ad alto valore in termini di sostenibilità sociale!

È vero, è un tema con un grosso impatto sociale, però è anche vero che mancano ancora progetti su larga scala, ci vuole pazienza e bisogna presidiare affinchè la sostenibilità sia anche economica, per esempio con l’assistenza domiciliare avanzata. Ci sono progetti, ma sono ancora in itinere. In Italia sappiamo come fare queste cose, ma bisogna farle con efficienza. Credo che conterà molto il rapporto con le forme integrative di previdenza. E la buona notizia è che in questo senso qualcosa si muove: troveremo presto le soluzioni migliori possibili per sviluppare anche in Italia questo settore, credo si possa arrivare a investire molto, siamo molto concentrati e vogliamo essere protagonisti. E aggiungo una cosa: sicuramente un know how come il nostro, in giro, non si trova facilmente, e non solo in Italia ma anche in Europa. Lato fondi di health care, ma un piano di investimento importante non c’è ancora. Certo, ci impegniamo in questo settore per guadagnare, come sempre, ma certi che dalla sua crescita ci guadagneremo tutti in primo luogo come persone. Pensi solo agli sviluppi straordinari nella medicina preventiva o agli orizzonti della ricerca sul Dna e le cure relative.

Che opinione ha delle dinamiche del settore del private equity in Italia?

Che deve ancora crescere molto. Sta crescendo, sì, ma il tema dimensionale è ancora cruciale. Se ci confrontiamo con i mercati principali, si vede a occhio nudo. Il nostro progetto è, non a caso, quello di diventare ancora più grandi, almeno il triplo, per dare un servizio sempre migliore alle nostre imprese. Serve avere una forte rete di manager, occorre attirare talenti ed essere sempre più internazionali. Non a caso stiamo investendo molto oltre confine.

Come vi trovate a lavorare nel settore delle medie imprese italiane?

Bene, ma dobbiamo cercarcele con attenzione e senza mediazioni. In generale è vero che il private equity si sintonizza bene con le dimensioni e le esigenze delle medie aziende italiane.

Avete in portafoglio quasi solo quote di maggioranza…

Sì, le preferiamo perché sono la premessa per poter scegliere, sul mercato, i manager migliori!

Parliamo di questa vostra strategia di crescita: triplicare dimensioni che all’estero saranno anche piccole ma in Italia sono da leader è una bella sfida!

Sì, ma va affrontata e vinta perché nelle operazioni trasformative e internazionali, dobbiamo applicare il nostro modello, che funziona bene ma che richiede capitali. Dunque, il primo obiettivo è attrarre più capitali possibili, siamo ancora troppo sottosoglia per sostenere progetti industriali di dimensioni importanti.

Parliamo dell’exit. Quali strade preferite per le vostre aziende?

La Borsa è un’ottima soluzione ma è adatta solo per aziende che siano al di sopra di determinata dimensione minima. Anche se so che non sarà popolare dirlo, si deve trattare di aziende di almeno un paio di miliardi. La Borsa può funzionare bene ma devi avere spalle larghe. Un’azienda che fattura 40 milioni puoi e devi portarla a 400. Poi però da 400 bisogna portarla anche al miliardo. E non è automatico farlo in Borsa, non bastano i soldi, se qualcuno non riesce a crescere senza essere quotato, non è che quotandosi per miracolo raddoppia di dimensioni. Se invece si è bravi, competitivi, ambiziosi, la Borsa può cambiare la vita: ma i casi così virtuosi non sono tantissimi. La Borsa chiede all’imprenditore una visione illuminata, di lungo periodo.

Dunque, insisterete sui settori del Made in Italy e della silver economy…

Assolutamente sì, il primo è il petrolio italiano, il secondo è un settore strutturale. E poi anche se l’internazionalizzazione ci piace e, come le dicevo, la accentueremo, continueremo anche a cercare con entusiasmo buoni investimenti da fare in Italia, perché pensiamo che l’Italia sia un buon investimento, al di là di alcuni problemi strutturali. La finanza deve crescere, nel nostro Paese, e deve crescere all’insegna dell’internazionalità.

FonteEconomy