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Quadrivio Group
15.01.2025

Il fattore coerenza

Ma anche il valore della qualità, il ruolo di social e IA, il problema di fare sistema: abbiamo parlato dell'industria del lusso con Alessandro Binello, ceo di Quadrivio Group, che "va a caccia di talenti" per sostenerli. Non solo finaziariamente

«Siamo dei cacciatori di ta­lenti, non "facciamo finan­za". Prendiamo delle belle aziende familiari del made in Italy e le facciamo cre­scere, dando loro la possi­bilità di diventare delle multinazionali»: la missione di Alessandro Binello, ceo di Quadrivio Group - realtà che opera da oltre 25 anni nel mercato del private equity e che attualmente promuove e gestisce quattro fondi tematici che inve­stono nei settori del fashion, del lifesty­le, del design, del beauty e del food and beverage -, è chiara. «Ma non diamo solo i soldi, che certamente sono fonda­mentali. Offriamo anche l'esperienza di professionisti del settore, perché il più delle volte il problema delle piccole e medie aziende italiane del lusso accessibile non è certo il prodotto, ma l'organizzazione: spesso in ruoli manageriali di rilievo non ci sono veri professionisti, ma fratelli e cugi­ni... I francesi, oggi, ci battono per questa ragione».

L'industria della moda non sta vivendo uno dei suoi periodi migliori. È un buon momento per investire?

«L'anno prossimo investiremo un miliardo di euro, la maggior parte dei quali nel fashion. Il momento per farlo è proprio quando c'è bisogno, non quando le cose vanno bene: è una regola del mercato». 

C'è anche una componente sentimen­tale ed emotiva nel processo di sele­zione dei brand? 

«Facciamo analisi numeriche molto puntuali delle aziende nelle quali vor­remmo investire, ma anche dei trend che funzionano in un determinato pe­riodo: ci interessano quei brand che fanno innamorare le persone, brand ai quali i clienti si affezionano a lungo nel tempo. C'è una componente emotiva che consideriamo, sì: ma non è tanto mia personale, quanto del pubblico».

Sostenibilità, inclusività e artigianalità: tre valori sui quali negli ultimi anni si sono riformulate molte aziende italiane. Sono asset importanti anche nel vostro lavoro?

«Non sono gli unici valori, ma certamente sono fondamen­tali. Un altro valore molto attuale è il rapporto tra qualità e prezzo. In alcuni casi quest'ultimo si è alzato troppo, ri­spetto alla prima. Il cliente oggi valuta bene ciò che compra, desidera oggetti belli, che durino nel tempo, oltre che riconoscibili per dei valori condivisi».

Mi sembra che in questo momento abbiano molto suc­cesso i brand cosiddetti di nicchia, piuttosto che i pro­dotti pensati per il grande mercato. È così?

«Dipende, funzionano i brand che hanno saputo mante­nere con coerenza e chiarezza le loro caratteristiche. For­se per i brand di nicchia è più facile rimanere riconoscibili e fedeli ai propri valori, ma ci sono riusciti anche marchi globali come Hermès, Chanel e Prada».

Quando investite in un brand, quanto è importante gui­darlo anche nella comunicazione? Contano ancora gli influencer, oggi?

«La comunicazione è quasi sempre l'ambito nel quale le aziende italiane sono più carenti, e il nostro sforzo spesso si concentra proprio in quel punto debole. Indubbiamente gli influencer, nonostante tutto, sono ancora importanti. Forse, però, oltre alle star oggi emergono quelli di nicchia, più vicini alle persone, più locali».

L'intelligenza artificiale è un alleato nel vostro lavoro?

«Un alleato, oggi, fondamentale; un acceleratore tecnolo­gico imprescindibile. Proprio per questo abbiamo stretto una partnership con Microsoft. Le applicazioni dell'IA sono moltissime e disparate, dalla writing communication alla gestione della forza vendita, dalle performance amministrative alla gestione degli ordini...».

In questo periodo stiamo assistendo a un vorticoso giro di poltrone di direttori creativi, ma anche di amministratori delegati: contano di più i primi o i secondi, nel successo di un marchio?

«È una questione di bilanciamento tra queste due figure fondamentali: se non hai una buona armonia tra ceo e di­rettore creativo difficilmente le cose funzionano, la moda è un gioco di squadra. Al centro di tutto, però, deve esserci il prodotto, che sia bello e desiderabile».

Sui social sono sempre più rilevanti nuove fonti di in­formazione alternative, insider che anticipano le noti­zie e a volte riescono anche a pilotarle, in qualche mo­do condizionando il mercato. Sono fonti che ascoltate?

«Leggiamo e guardiamo tutto, ascoltiamo le opinioni di tutti. Ma quelle sui social, al momento, non sono fonti che possano condizionare i nostri investimenti. Se un account non parla bene di un brand, c'è un motivo e va cercato. Il mercato non lo cambi: quello che deve essere, sarà».

Se ne parla da molto, qualcuno ci ha anche provato: secondo lei un vero polo del lusso italiano, competitivo rispetto a quelli francesi, potrebbe essere possibile?

«Senza dubbio, sì. È solo una questione di soldi. Il problema vero è riuscire a convincere gli italiani a investire in Italia. Purtroppo non ci fidiamo abbastanza di noi stessi».