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Made in Italy Fund
08.10.2020

Dopo il tonfo (-28%) rilancio con Cina e web

Altagamma al Governo: Recovery Fund da destinare anche alle eccellenze italiane.

Il Covid-19 ha colpito con forza, chiudendo fabbriche e negozi, bloccando i turisti nei Paesi d’origine. Eppure il settore moda-lusso made in Italy è pronto a raccogliere le forze e ripartire. Facendo leva sui propri elementi di unicità, senza dimenticare la tecnologia cui i consumatori sono sempre più devoti. È questo il messaggio della tavola rotonda «Made in Italy nel Fashion & Luxury: il ruolo dell’artigianalità contemporanea», tenutasi nell’ambito di The Restart.

Il punto di partenza sono dati negativi, frutto di un’analisi del centro studi Mediobanca sui bilanci di un campione di quotate del settore moda-lusso: nel primo semestre 2020 il calo di fatturato è stato del 28%, quattro volte superiore alla flessione dei ricavi delle multinazionali in generale (-7%). «Una crisi senza precedenti – spiega Nadia Portioli, analista di Mediobanca – che peggiora se si guarda alla redditività: il margine Ebit delle aziende di settore è passato dal 18% dei primi sei mesi 2019 al 4% tra gennaio e giugno 2020». Se nel primo trimestre il calo dei ricavi è stato contenuto (15%), l’impatto della pandemia si è manifestato appieno nel secondo trimestre (-41%) .

La crisi, tuttavia, ha messo in luce anche i punti di forza del settore, sottolineando la centralità dell’industria made in Italy a livello mondiale: qualità, heritage, filiera e digitalizzazione. E su questi punti le aziende hanno già cominciato a lavorare per ripartire.

«Durante il lockdown abbiamo potenziato l’e-commerce anticipando i nostri piani di sviluppo di due anni – sottolinea Christophe Babin, ceo di Bulgari Group -, estendendo il servizio da otto a 15 Paesi». I primi risultati si vedono già: «Negli Usa il 18% delle vendite dei gioielli viene realizzato online. L’anno scorso, invece, era solo il 2 per cento», dice. Al di là del canale di vendita, a fare la differenza è il prodotto. Lo sa bene Babin che, infatti, racconta come una delle priorità strategiche di Bulgari durante il lockdown sia stata quella di proteggere la filiera: «Siamo gli unici a produrre i gioielli interamente in Italia e non abbiamo voluto che il calo di attività pesasse sui nostri partner storici, come le 90 aziende del distretto orafo di Valenza Po. Quindi ce ne siamo fatti carico, avendo noi un maggiore flusso di cassa. Parallelamente abbiamo portato avanti l’acquisto dei terreni dove nel 2024 sorgerà la nostra seconda manifattura di gioielli, sempre a Valenza Po, con 500 nuovi posti di lavoro» chiosa il ceo di Bulgari.

Parla di investimenti anche Diego Della Valle, presidente del Gruppo Tod’s, che – scongiurando il ripetersi di quanto vissuto «Il settore farebbe fatica a reggere un colpo così pesante» – racconta come gli sforzi del gruppo siano rivolti a un’evoluzione digitale. Un processo che, peraltro, il virus ha solo accelerato: «Il Covid-19 ci ha colto nel pieno di un processo di trasformazione verso il digitale che oggi è sempre più importante – dice – : l’heritage, infatti, da solo non basta più, ma deve essere veicolato utilizzando un linguaggio e dei canali specifici per arrivare a dialogare con consumatori di nuova generazione». Consumatori «che seguono la religione del web e magari non hanno capito bene il made in Italy, ma capiscono più facilmente una felpa indossata da un rapper», dice. Secondo Della Valle «ci troveremo di fronte a uno scenario nuovo e chi avrà coniugato bene l’heritage con creatività e la modernità sul web sarà ancora in partita».

Per far ripartire il settore nel suo complesso è fondamentale una strategia di sistema: «È importante il dialogo tra imprese, grandi e piccole, e tra aziende e istituzioni – dice Matteo Lunelli, presidente di Fondazione Altagamma -. In quest’ottica abbiamo anche aperto un dialogo con il Governo perché vogliamo che Recovery fund e altre iniziative diano la giusta attenzione a settori come quelli della moda e alto di gamma, che possono essere locomotiva per il Paese». Gli sforzi devono essere concentrati anche sul turismo: «Abbiamo l’opportunità di rilanciare il nostro Paese e di puntare a un riposizionamento verso l’alto», dice Lunelli.

Intanto, i potenziali turisti più importanti (i cinesi, che acquistano circa un terzo dei beni di lusso nel mondo) sono bloccati in patria ma stanno facendo ripartire il mercato locale, come confermano sia Jean Christophe Babin di Bulgari sia l’analisi Mediobanca che nella Repubblica Popolare fotografa un primo semestre con ricavi in calo del 25% (a fronte del -33% in Europa) seguito da una ripresa dovuta anche al revenge spending. Da qui un altro input: investire sulla Cina.