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Dall’equity spinta al 4.0
La pandemia non ha avuto solo conseguenze negative: ha convinto molti imprenditori, soprattutto fra le realtà più piccole, a percorrere la strada delle aggregazioni. Un cambiamento di mentalità di cui l’imprenditoria italiana aveva, e tuttora ha, grande necessità per poter competere sui mercati internazionali. «In questo momento il principale problema per molte aziende è la crescita dell’indebitamento causato dalla crisi e questo è successo non solo nelle società che erano già in crisi prima del Covid ma anche in quelle che vanno bene», racconta Walter Ricciotti, amministratore delegato e fondatore di Quadrivio Group, che vanta un punto di osservazione privilegiato: opera nel campo del private equity da più di vent’anni ed è specializzato proprio in Pmi. Spiega Ricciotti «Se le difficoltà dell’economia dovessero continuare, potrebbero arrivare problemi anche sul fronte del conto economico».
La ricetta che il fondatore di Quadrivio applica alle società controllate dai fondi del gruppo per superare le momentanee difficoltà è quella di sfruttare le potenzialità delle tecnologie digitali. «ln questo campo le Pmi hanno ancora molta strada da fare, ma proprio questo è il bello per un fondo di private equity - prosegue Ricciotti - La scelta dei nostri fondi ricade su imprese in salute, forti nell’export e con un fatturato compreso fra i 10 e gli 80 milioni di euro. In prima battuta rafforziamo il management, reclutando figure in grado di sfruttare le nuove tecnologie, e solo in un secondo tempo effettuiamo gli investimenti nel digitale. Le tecnologie danno un vantaggio competitivo solo se in azienda c’è qualcuno in grado di farle funzionare a dovere». Il manifatturiero è un settore dinamico.
Con il fondo Industry 4.0 Quadrivio nell’estate del 2019 ha rilevato il controllo di Rototech, gruppo specializzato nella progettazione e nella produzione di componenti per le macchine agricole, con l’obiettivo di farlo diventare un polo aggregante, rilevando operatori della componentistica. Strategia analoga con l’altro fondo, Made in Italy: tramite la controllata Prosit ha rilevato una cantina pugliese (Torrevento), un produttore di prosecco Veneto (Collalbrigo) e uno di Montepulciano in Abruzzo (Nestore Bosco). E presto arriveranno altre operazioni in Toscana, Piemonte e Friuli. «Alle cantine abbiamo poi affiancato un distributore di vini negli Stati Uniti per dare forza all’intero progetto – spiega Ricciotti. La maggior parte delle aziende in cui investiamo non ha bisogno di soldi. Non scegliamo aziende in crisi, perché non siamo specialisti del turnaround, ma puntiamo accelerare la crescita delle nostre controllate. Negli anni Quadrivio ha raccolto più di 2 miliardi di euro grazie ai quali ha realizzato più di 100 operazioni. La sua nascita risale al 1999 quando il private equity stava muovendo i primi passi in Italia e aveva una logica prettamente finanziaria e non industriale. Ma soprattutto era un periodo che di li a breve avrebbe vissuto lo scoppio della bolla del Nasdaq (mano 2000). Una situazione con cui il numero uno di Quadrivio vede inquietanti analogie. «Oggi, come vent’anni fa, ci sono alcuni settori borsistici con valutazioni molto, molto importanti, basate esclusivamente sulle aspettative di una fortissima crescita futura suggerisce Ricciotti. È però improbabile che la maggior parte delle società riesca a rispettare queste attese».
Secondo l’esperto di investimenti, questa esuberanza dei listini sta paradossalmente facendo crescere l’interesse proprio per il private equity «Sul mercato ci sono tanti soldi, ma le azioni sono care, i bond non rendono niente e molte persone non si sentono infine di investire sul real estate. Una parte crescente di capitali sta così andando verso il private equity, che è sempre stato considerato uno strumento di finanza alternativa ma ormai è diventato main stream». In Italia le aziende partecipate da fondi di private equity o di venture capital sono circa 1.500 e anche la percezione da parte degli imprenditori nei confronti di questa tipologia di investitori è cambiata. «Se all’inizio venivamo visti come soci interessati esclusivamente alle performance finanziarie, adesso un numero crescente di imprenditori ci vede come un partner che porta in dote, oltre al capitale, anche competenze in grado di favorire lo sviluppo del business. Con grandi vantaggi sia per le aziende che il private equity».