PRESS
Quadrivio, via a un fondo da 500 milioni
«Entro l’anno lanceremo Made in Italy 2 con target a mezzo miliardo», ha anticipato a MFF Alessandro Binello, ceo del private equity che ha in portafoglio Gcds, Dondup e altre realtà fashion. «Nei prossimi mesi dell’anno quoteremo un’azienda in Borsa e faremo nuove importanti acquisizioni»
«Entro quest’anno lanceremo il fondo Made in Italy 2. Rispetto al primo abbiamo quasi raddoppiato l’obiettivo di raccolta portandolo a 500 milioni». Sceglie MFF Alessandro Binello, ceo di Quadrivio Group, per anticipare il varo di una nuova realtà di private equity intenzionata a far crescere realtà italiane dal potenziale globale. «Siamo molto acquisitivi, nei prossimi mesi valorizzeremo due nostri brand, quotandone uno in Borsa». Il manager è salito alla ribalta con l’acquisto di Gcds, rilevando attraverso il veicolo Made in Italy fund la maggioranza del brand, lanciato nel 2015 dai fratelli Giuliano e Giordano Calza. Il fondo Made in Italy 1, con obiettivo raccolta capitale di 300 milioni, si è chiuso nel 2021 con due anni di anticipo sul previsto e sei brand in pancia, tra i quali spicca Dondup. Bocche cucite su un possibile interessamento per Chiara Ferragni collection, per la quale il nome di Binello è stato chiamato in causa.
Volete diventare un nuovo player di riferimento per la moda italiana? Con Made in Italy fund 1 avete fatto sei acquisizioni fashion?
L’idea è di puntare molto sulla moda, oltre che sul design e sulla cosmetica, tanto è vero che di 13 acquisizioni ben sei sono sulla moda e sono le più grandi. Con Made in Italy 1 il target di raccolta era di 300 milioni e l’abbiamo chiuso nel 2021, dopo averlo lanciato due anni e mezzo fa, nel marzo 2018. Made in Italy 2 sarà lanciato entro quest’anno e valorizzeremo due società prima del lancio, una andrà in Borsa e l’altra cercherà un nuovo partner.
La quotazione in Borsa sarà su Milano o altrove?
Su Milano. Inoltre, stiamo ancora investendo. In particolare stiamo guardando ad altre due aziende di moda e il portafoglio ci sta dando molta soddisfazione. Quello che vogliamo fare è rendere le aziende internazionali. Come con Gcds, che ha in programma aperture rilevanti di negozi in Asia ogni anno, oltre a quelli in Europa. Ne abbiamo aperti tre in questo periodo, due a Shanghai e uno a Pechino, e ne apriremo altri. Il nostro obiettivo principale resta quindi quello di essere partner industriali dei brand che acquisiamo.
Oltre a Gcds, quali altri vostri brand si stanno muovendo bene?
Un’azienda che sta andando molto bene è Dondup, che sta facendo numeri molto importanti e si conferma profittevole, con 15-17 milioni di ebtida e 56-57 milioni di euro di fatturato. Anche Autry sta facendo dei numeri molto simili a Golden Goose del primo giro… Quindi siamo soddisfatti e prevediamo faccia un grosso incremento di fatturato quest’anno.
Quando lancerete Made in Italy 2?
Il varo sarà sicuramente nel corso del 2022, con buona probabilità nella seconda metà dell’anno o tra giugno e settembre, e il piano prevede di svilupparlo da subito. Gli investitori sono contenti perché il Made in Italy 1 sta andando bene, col valore del fondo che oggi è molto più alto di quanto loro hanno versato, con valori attorno al +30%. Comunque abbiamo ancora da investire una parte dell’1, chiudendo queste acquisizioni nel primo semestre dell’anno e lanciando il fondo, se siamo bravi, ai primi di giugno.
Sono segmenti che non si sovrappongono. Dondup col denim, Autry con le sneakers e Gcds che ha una grande view. Per esempio ha investito nella realtà virtuale già due, tre anni fa, con un Metaverso ante litteram.
Sì, è vero. Adesso stiamo lavorando sullo scaricare a terra. Abbiamo creato una struttura importante, grazie all’ingresso di persone con esperienza da aziende importanti. Abbiamo preso un merchandiser da Moncler, un direttore commerciale dal gruppo di Virgil Abloh. Oggi dobbiamo scaricare a terra questa comunicazione pionieristica dei fratelli Giuliano e Giordano Calza.
Che tipo di risposta arriva dal mercato? E che visione coltivate?
Sicuramente il motivo per cui aumentiamo il fondo 2 a mezzo miliardo è che siamo cresciuti in visibilità. Vogliamo puntare su aziende che hanno già un grande marchio, o un prodotto legato a un marchio, per le quali valga la pena sviluppare bene il brand a livello internazionale, o che abbiano un lifestyle molto chiaro e siano caratterizzate da un gusto italiano.
Che valore aggiunto portate?
Quello che emerge nella maggior parte delle realtà che acquisiamo è la mancanza di struttura. Per questo stiamo rafforzando le nostre competenze a livello strategico. Le aree in cui al momento i nostri brand sono più deboli sono l’internazionalizzazione, il digitale. In Italia il digitale non è ancora così diffuso, mentre all’estero ci sono aziende le cui digital revenues sono già al 30-40%.
Questi due anni di pandemia come hanno cambiato il mercato? Hanno favorito, a suo modo di vedere, la concentrazione e le acquisizioni nel Made in Italy?
Questi anni hanno accelerato tre fenomeni: la presenza internazionale, la trasformazione digitale e il management. Secondo noi portare solo finanza non basta, ma bisogna incentivare anche aspetti concreti, potendo contare su una rete importante di supporto. Il primo salto da fare è portare un’azienda da 20-30 milioni di fatturato verso i 100, ed è proprio qui che ci stiamo concentrando per molte delle realtà in portafoglio. Si tratta di un passaggio tanto importante quanto dispendioso in termini di tempo che si spende in azienda, ma alla fine fa la differenza. È qui il vero vantaggio del private equity, se lo fai in maniera industriale.