PRESS

Quadrivio Group
25.07.2023

Quadrivio Group

Il private equity è immune all’aumento dei tassi e si sintonizza con le esigenze delle Pmi italiane, che grazie al Made in Italy e alla Silver economy rappresentano un investimento irrinunciabile

Di fronte a un mondo delle quotate che arranca, il private equity sta vivendo un grande momento, sostiene Alessandro Binello, Group Ceo di Quadrivio Group, uno dei principali operatori nel settore degli investimenti alternativi con oltre 20 anni di esperienza nel private equity. Per Binello la tendenza è chiara: le aziende più deboli tenderanno a essere acquisite da quelle più forti e in questo scenario si concretizzeranno poli aggregatori nel «petrolio d’Italia», ovvero moda e salute.

Domanda. L’aumento di tassi ha colpito il comparto del private equity?
Risposta. Nel nostro caso in maniera molto modesta, perché siamo dedicati da oltre 25 anni a investire nei macro-trend più promettenti, con l’obiettivo di identificare le migliori opportunità e favorire la crescita delle PMI italiane. Non usando molta leva economica, per noi l’aumento dei tassi è un’opportunità: dal punto di vista del private equity, il deleverage è un fattore determinante per fare ritorni.

D. Come vi state muovendo in questo momento?
R. Stiamo vivendo un grande momento: se vogliamo paragonarlo è simile al 2008-2009. In questo momento è molto interessante analizzare dove e come investire, nonché dove siamo posizionati. Le aziende più deboli tenderanno a essere acquisite da quelle più forti, dunque dobbiamo trovare queste ultime e investirci con quote di maggioranza per controllarle in un momento di discontinuità economica. Le imprese si rivolgeranno sempre più all’equity e avranno necessità di aggregarsi.

D. Questo scenario riguarda le quotate oppure le non quotate?
R. Noi compriamo aziende non quotate, ma guardiamo alle opportunità e sappiamo riconoscere se dal punto di vista industriale un’impresa è congrua alla nostra strategia. Quadrivio Group ha un settore molto importante di prodotti di qualità che hanno un fitting adeguato per creare un gruppo da oltre 100 milioni di euro.

D. Dove suggerisce di investire?
R.
In due comparti. Il primo è il lusso accessibile: il made in Italy è il nostro petrolio e si difende molto bene dal tema inflazionistico perché è diventato molto costoso, ma le persone spendono sempre di più per apparire. Il secondo è la longevity, detta anche Silver economy, ovvero tutto ciò che è legato alla salute: l’aspettativa di vita è cresciuta e questo si ripercuote sull’intero settore. Se non investiamo nel nostro petrolio commettiamo un errore, in Italia la Silver economy è meno nota, ma proprio grazie alle Pmi italiane siamo tra i leader mondiali nella produzione di dispositivi medici.

D. Secondo lei quali traiettorie sta seguendo l’economia italiana?
R. In Italia il tema fondamentale è il bisogno di capitale che andrebbe immesso nell’economia reale, che è maggiore di quanto si immagini. Tuttavia, al di là della politica monetaria, il vero problema delle aziende con cui operiamo in partnership per investimenti industriali è il bisogno di competenze. Per cui, dobbiamo investire pesantemente per renderle delle piccole multinazionali e attirare i talenti dall’estero perché non abbiamo più una classe dirigente in grado di gestire processi di cambiamento di grandi dimensioni.

D. Come si affronta questo problema?
R.
Per cominciare, attraverso un rinnovato ruolo della politica: il tema delle competenze deve essere sottolineato molte volte, perché se l’azienda non è stata in grado di crescere non si può addossare la responsabilità solo alla politica monetaria. Nel 90% dei casi, infatti, c’è stata una mancanza di capacità di sviluppo estero. Dovremmo cominciare a interpretare il mercato come globale e continuare a cavalcare la digitalizzazione, che oggi sembra meno di moda e più vera commodity, ma resta un’opportunità per creare un mercato anche con pochi fondi. Direi che, in ordine di importanza, la politica deve riuscire a convogliare il risparmio degli italiani nell’economia reale. Infine bisogna attirare, ma questo è il nostro compito, le migliori competenze fornendo la tranquillità di un quadro normativo favorevole che consenta questo tipo di scelte. Tocca poi ancora a noi rendere queste multinazionali tascabili dei campioni nazionali.

D. Le sembra un percorso possibile?
R. Certo. Perché le aziende non dovrebbero investire proprio qui, in un Paese con una qualità della vita elevata e con tutte le condizioni per far crescere il business? Ma per sostenere gli investimenti dobbiamo anche essere in grado di creare strutture internazionali, che in questo momento mancano.

D. Che rischi immagina per il private equity?
R.
Il vero rischio è un ampliamento di differenza tra i prezzi di vendita delle aziende più performanti e la domanda di vuole comprare, che può generare una situazione peggiorativa di mercato. Il tema principale è convincere i compratori che acquisire aziende a un certo valore, che presumibilmente cresceranno comunque molto resta una buona idea. Ovviamente, il nostro ruolo è rendere sempre più solido questo percorso di crescita.