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Filippo De Laurentiis, una storia di eccellenza italiana raccontata in prima persona
Una laurea in ingegneria gestionale e un brand di maglieria fondato a Pescara nel 2013: Filippo Ferrante ci porta dietro le quinte della sua azienda. Che ora è in rapida crescita insieme al Made in Italy Fund II, il fondo di Private Equity di Quadrivio & Pambianco
Nella storia di Filippo De Laurentiis c'è tutto il senso dell'essere un'eccellenza italiana. Entrato a far parte lo scorso agosto del gruppo Quadrivio, il brand di maglieria è stato fondato a Pescara da Filippo Ferrante De Laurentiis nel 2013. Un imprenditore - e un creativo (perché lui non vuole definirsi uno stilista) - che in un maglificio, a contatto con l'odore della lana, ci è cresciuto sin da quando era bambino. Poi c'è stata la laurea, in ingegneria gestionale. Dopo ancora, la gavetta nell'azienda di famiglia. Fino a diventare oggi l'Amministratore Delegato di un'azienda non più a conduzione familiare. Ora con il Made in Italy Fund II - il fondo di Private Equity di Quadrivio & Pambianco che investe nelle eccellenze italiane - il brand Filippo De Laurentiis si prepara a scrivere un nuovo capitolo, di cui il suo founder ci parla in prima persona.
Ha scelto il cuore di Milano, una città molto materiale, per il primo monomarca Filippo De Laurentiis: Spazio Effimero. Come mai questo aggettivo?
«Volevo che si comprendesse che non è così determinante lo spazio in cui portiamo ciò che facciamo. La nostra maglieria ha un’estetica essenziale e pulita, e la stiamo presentando nel caos di Corso Garibaldi. Un contrasto di concetti accompagnato anche da un motivo pratico: il negozio è un temporary, cosa che lo rende ancor più effimero. Significa anche che, se dovessimo spostarci in altre location, il senso di ciò che facciamo resterebbe lo stesso. Ad ogni modo, è un posto che mi piace molto: è un’ex cartolibreria dell’Ottocento, c’è una zona tutta in legno che abbiamo arredato con materiali in resina per creare contrasto».
Nella maglieria che propone vige il minimalismo. Ma a lei, più che sensibilità estetica, piace parlare di sensibilità personale. Quanto della sua sensibilità c’è anche nella strategia del brand?
«Tanta e mi ritengo molto fortunato. Dopo i tanti movimenti societari che ci sono stati, continuo ad avere il controllo sia dello stile del prodotto e delle collezioni sia della strategia retail, come il nuovo Spazio Effimero e il corner in Rinascente. Stiamo facendo anche un lavoro di assestamento del brand, che richiede decisioni sulla base della mia sensibilità personale su colori, caratteri e tanto altro ancora».
La sua collezione Primavera-Estate 2025, Acqua Virgo, prende nome da un acquedotto romano: un capolavoro di ingegneria. Lei, in verità, hai studiato ingegneria gestionale. Quanta ingegnosità riporta nel savoir-faire della sua maglieria?
«Direi tantissima. Non mi ritengo uno stilista, ma quello che per me è determinante nell’ispirazione è la tecnica. Il fatto di conoscere la tecnica della maglieria, dall’inizio fino all’intero processo creativo. Mi piace partire dal filato, immaginare il punto maglia con i dettagli del capo, e poi infine arrivare al modello e il colore. È un approccio molto tecnico che mi permette di essere molto creativo. Il nostro prodotto, nella sua semplicità, ha una grande cura dei dettagli».
Non si definisce uno stilista. Ma cosa significa essere un imprenditore e anche un creativo?
«È una bella responsabilità. Non solo economica e finanziaria. Ci sono decisioni che spettano a me e che impattano la vita di altre persone. Essere imprenditore è una responsabilità sociale, è importante saper mantenere gli equilibri in un sistema complesso. Bisogna saper incastrare tante funzioni che hanno esigenze diverse, saper mediare, mantenere equilibri anche molto instabili talvolta. E significa anche saper essere zen».
A fine agosto, Filippo De Laurentiis è stato acquisto al 51% dal fondo Quadrivio. Quando ha sentito che era arrivato per Filippo De Laurentiis il momento di intraprendere questo nuovo percorso?
«Ho iniziato a sperare che accadesse già un anno e mezzo prima che poi si concretizzasse realmente. L’azienda era cresciuta bene ormai, ma era un’azienda familiare e avevo iniziato a intuire che presto ci sarebbero stati dei limiti organizzativi».
Il rischio quale sarebbe stato?
«Sarebbe aumentata la produzione, ma l’organizzazione alle spalle non sarebbe riuscita a starle dietro. Inoltre, in Italia c’è ancora la terribile idea che tra competitor sia meglio privare l’altro del cliente. Io invece sono convinto che si debba fare sistema. Prendo esempio dai francesi, che tra competitor fanno cartello. Ora sono felice di far parte di qualcosa di più grande insieme a Quadrivio, anche se ufficialmente non ne ho pienamente il controllo».
E ora?
«Ora ho la fortuna di lavorare con un fondo molto umano, specializzato nello sviluppo di piccole e medie imprese. Ho deciso di fare questo passo quando ho conosciuto Quadrivio perché nel loro portfolio ci sono diversi brand del settore e di altissimo livello. Abbiamo attivato moltissime sinergie, tra cui lo stesso negozio in Corso Garibaldi, dove siamo entrati nell’arco di un mese. Questo è un modo molto più semplice di competere nel mercato contemporaneo, e che consente di avere molte opportunità in più».
Il percorso sarà accelerato da Made in Italy Fund II (il fondo di Private Equity di Quadrivio & Pambianco che investe nelle eccellenze italiane). Come approccia questo nuovo capitolo?
«La filosofia del brand resta la stessa. Con i soci del fondo siamo d’accordo nel restare un brand specializzato nella maglieria. In un mondo dove tutti fanno tutto, sono convinto sia fondamentale essere specializzati in qualcosa che ci aiuta a creare in primis l’awareness del brand. Puntiamo anche ad aprire un altro negozio in un’altra città italiana entro il 2025 e ad aprirci ai paesi esteri dove ancora non vediamo».
Tanta accelerazione, ma anche la cura e la lentezza che richiede il savoir-faire italiano…
«Sì. Abbiamo triplicato i volumi e quest’anno arriveremo a fare quasi trecentomila capi. La sfida senza dubbio potrebbe essere quella di crescere ancora nell’ottica di continuare a produrre in Italia, perché se non producessimo qui si perderebbe un tratto distintivo del brand».
Cosa ha comportato il passaggio di testimone da suo padre, Carmine Ferrante - che era Amministratore Delegato del brand - a lei?
«Ora sono io l’Amministratore Delegato, e il brand non è più un’azienda familiare. Ciò che è rimasto è l’onestà di parlarsi apertamente, non c’è una gerarchia, c’è ancora una dimensione orizzontale. Altra evoluzione è stata la separazione definitiva tra lavoro e vita familiare. Ora l’azienda è l’azienda, ed è bello e sano sapere che ci sono dei soci. E la famiglia è la famiglia».
Ed essere un’eccellenza italiana nel portfolio di Quadrivio cosa significa per lei?
«Significa fare le cose bene e al meglio, anche come forma di dovere nei confronti del mercato. L’Italia poi è nel nostro dna, quindi cerchiamo di renderlo insito al prodotto. Se non facciamo le cose per eccellere, che cosa le facciamo a fare?».
Come immagina la filosofia di Filippo De Laurentiis oltre i confini italiani?
«Premetto che non abuso della dicitura “Made in Italy”. È solo un plus scritto all’interno dei capi, ma vorrei che diventasse un concetto insito del brand insieme ai valori fondanti. Penso che il nome ad oggi parli già abbastanza da sé, ed è bello vedere che il prodotto gli corrisponde nella qualità».