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Autry a 300 milioni in tre anni
Lo ha anticipato a MFF il ceo Mauro Grange, che ha trasformato la label in un fenomeno partito da tre milioni di ricavi nel 2019 a più di 90 milioni nell’ultimo esercizio. “Lanciamo il ready to wear con 300 pezzi. Presto flagship a Tokyo e Seul”. Il brand nato in Usa è parte di Made in Italy fund, costola di Quadrivio group
“Se entro 3 anni non arriviamo ad almeno 300 milioni di fatturato, credo abbiamo sbagliato qualcosa”. Parola di Mauro Grange, numero uno di Autry. Il marchio di sneaker fondato a Dallas negli anni 70 è passato da 3 milioni di euro di fatturato del 2019, ai 30 milioni del 2021 (con 15 mesi di attività) e passato a 90 milioni nel 2022 e che prevede di chiudere il 2023 a quota 130 milioni. Per elevare la qualità del prodotto e il suo posizionamento Autry ha introdotto modelli in pelle di agnello e nabuk, producendo in Indonesia. Dall’estate 2021 il brand è sotto la proprietà di Made in Italy fund, fondo di private equity gestito da Quadrivio group con Mauro Grange come ceo e l’ex ad Gucci, Patrizio Di Marco, come presidente. “Abbiamo lavorato tantissimo su una distribuzione davvero selezionata. In tre anni siamo entrati in oltre 1.500 top deal", spiega Grange in questa intervista esclusiva a MFF. “Oggi produciamo oltre 1,5 milioni di paia di sneaker l’anno in cinque stabilimenti in Indonesia dagli standard altissimi”. Il brand Autry è stato acquisito nel 2019 da un pool di imprenditori italiani: Marco Doro (fondatore di Ghoud), Alberto Raengo e Gino Zarrelli. Nel 2021 il fondo Made in Italy fund, attraverso la holding Fine sun, ne ha preso il controllo cooptando Mauro Grange e Patrizio Di Marco. Il brand, da sempre specializzato nella produzione e distribuzione di sneaker, ha appena presentato una prima collezione di ready to wear di 300 pezzi, che sarà in store da novembre. Ora sono in arrivo i primi flagship store, tra le città di Parigi, Seul e Tokyo.
A quanto avete chiuso il 2022? E con che volumi pensate di chiudere 23?
Nel 2022 abbiamo chiuso con 90 milioni di fatturato, circa il 30% di ebitda, perché facciamo 27 milioni di ebitda. Il 2023 lo posso già dare perché abbiamo appena terminato la campagna vendita. Chiuderemo fra i 120 e i 130 milioni, con quasi 40 milioni di ebit.
Cosa volete fare da grandi?
Già siamo cresciuti. Ma credo che la cosa più importante in questo momento sia fare il next step. Cosa vuol dire? Vuol dire che da questo momento in poi dobbiamo consolidare il brand, farlo diventare un brand vero, costruire un lifestyle attorno al nostro brand.
Lanciate il ready to wear?
C'è una collezione ready to wear presentata adesso che vedremo nei negozi da novembre. È composta da circa 300 pezzi. Abbiamo lanciato una linea sport con il golf e il tennis disegnata da Alberto Bresci, il fondatore di Hydrogen.
Cosa prevede quindi ora la strategia? Siete presenti in Asia?
La mia idea è che adesso noi dobbiamo posizionare il brand, costruire la community della gente attorno a noi e consolidare quel senso di appartenenza del cliente verso il brand. Abbiamo mercati che stanno partendo come il Giappone, la Cina, gli Stati Uniti, eccetera, per cui se noi oggi facciamo 130 milioni. Con un Giappone che appena partito con Taiwan e la Cina appena lanciate. E il prodotto è sold out a Hong Kong, a Macao, a Shanghai. Insomma, credo che sia abbastanza naturale che i numeri esploderanno.
La produzione è in Asia, per contenere i costi?
Lavoriamo con cinque calzaturifici diversi, tutti dedicati a Autry, con circa 2500 dipendenti. Peraltro nel totale rispetto di tutte le normative sul lavoro. Scherzando, ci piace dire che più che delle fabbriche sono delle farmacie… per quanto sono pulite e attente. Noi siamo intransigenti, li controlliamo in maniera folle da quel punto di vista.
Come siete distribuiti oggi?
Siamo soltanto nei multibrand top nel mondo. Per cui, Nordstrom e Saks negli Stati Uniti, Browns in Uk, Galeries Lafayette e La Samaritaine in Francia. E in Italia abbiamo Sugar, 10 Corso Como, Antonia. Solamente i top. Questa è la nostra rete distributiva.
Sono in arrivo i primi flagship store? Dove?
Sicuramente Parigi, un mercato significativo anche per l’immagine. A Seul il secondo. E il terzo, poi, dovrebbero essere a Tokyo.
Dietro di voi c’è un'architettura anche finanziaria, il Fondo Made in Italy di Quadrivio group, che si sta muovendo tanto. Qual è stato l'apporto di questo fondo?
Io sono potuto entrare ufficialmente perché sono parte di Made in Italy fund. Ha portato sicuramente una visione, una grande visione. Per il futuro? Sicuramente managerialità che serve in questo tipo di aziende e poi, dall'altra parte, anche una tranquillità finanziaria e di struttura societaria che ci permetterà presto di aprire nuove sedi di di rilievo tra Venezia, il nostro headquarter e le capitali della moda.